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È arrivato quel momento dell’anno in cui il tema dominante del nostro tempo è: il saggio!

Qualcosa con cui non avevamo fatto i conti quando, una decina di anni fa, quella bambina di 3 anni decise di fare danza (o noi decidemmo per lei? Amletico dubbio…).

Dopo 9 mesi di corse, di organizzazioni logistiche minuziose tra mamma, papà, nonna, ecc. (perché l’insegnante di danza si incazza se qualcuno manca, ma essere sempre presenti significa aver portato a termine un esercizio logistico degno di Amazon), nel periodo post pasquale, mentre tutti stanno decidendo di essere sonnacchiosamente  primaverili, si inizia a parlare di “SAGGIO”.

I primi anni, con la bimba piccolina, era divertente avere come argomento di conversazione il colore della gonnellina, l’acconciatura o il fiorellino da applicare alla testa. La bimba piccolina poi cresce, oltre al corso propedeutico alla danza classica (Nota: se lo si chiamasse danza classica, anche solo per abbreviare, non avrebbe senso che a 13 anni fosse in un corso di danza classica beginners, da cui si deduce che finché non si mettono le punte il corso è “propedeutico a” la danza classica, mentre diventa “danza classica” solo quando si mettono le punte…) magari inserisce anche un’ora di carattere e i pezzi da fare al saggio diventano due. Due i pezzi, due i costumi, due le acconciature, due le musiche, due gli argomenti di conversazione: FIGO!!!!

Però alla ragazzina piace, allora oltre al corso propedeutico alla danza classica (che comprende anche un’ora alla settimana di danza contemporanea… o moderna… boh, mai capito bene la differenza perché nessuno me l’ha mai spiegata) decide di proseguire anche nella danza di carattere, nello specifico il flamenco, così i pezzi al saggio diventano tre: danza classica (propedeutico a…), contemporaneo (o moderno che non ho capito) e flamenco. Tre pezzi, tre musiche, tre costumi, tre acconciature, tre elementi di dialogo, che si sviluppano in un chiassoso leit motiv infinito da aprile a giugno inoltrato, seguito dai commenti del dopo-saggio, che continuano almeno fino al ponte santi-morti del novembre successivo. Per non lasciare nulla al caso, la scuola di danza è diventata una specie di grande famiglia allargata, in cui si manifestano i compagni di viaggio (non scelti) che tra attese a scuola e gruppi di WhatsApp non danno tregua. Commenti, critiche, malumori, attriti… un inferno.

Eh, ma non è mica finita… perché quelle bambinette di tre/quattro anni che avevano iniziato con gli esercizi “flex-point” crescono ogni anno. Più crescono, più studiano. Più studiano, più vorrebbero sapere. Allora l’estate, che già di per sé è intollerabile, si affacciano gli stage. Stage estivi, che per la famiglia significano vacanze forzate per far ballare e imparare la ragazzina. Lei contenta, noi contenti.

Intervengono, a completare il quadro, anche i problemi di rivalità e convivenza tra allieve, la naturale incompatibilità tra parenti spesso costretti a condividere troppo tempo insieme (non funziona nemmeno nelle famiglie, figurarsi nelle scuole di danza…), le imposizioni societarie che spesso deludono allieve e parenti. Così non solo si parla di danza, ma anche della scuola di danza, dell’insegnante di danza, delle compagne di danza, dei genitori e dei nonni delle compagne di danza… un incubo!

Intanto la ragazzina cresce, e vuole studiare cose nuove. Più cose, più saggi, più costumi e, sorpresa, anche qualche spettacolo al di fuori dei saggi. Così si parla di spettacoli durante 12 mesi. Le cose piano piano si dipanano, si inizia a capire il mondo con cui si ha a che fare, si possono fare delle scelte più consapevoli, ci si forma una coscienza critica.

Accade così che, assistendo ai saggi, si inizia ad apprezzare lo spettacolo nel suo insieme, perché c’è un elemento di paragone. Si può cominciare a valutare se la ragazzina abbia veramente imparato qualcosa, perché si vedono bambine più piccole di lei (ricordando come fosse lei alla loro età) e ragazza più grandi, che mostrano quelle che, forse, potrà fare quando sarà un po’ più grande. La sua passione inizia ad essere anche il nostro piacere, nei limiti di guardare ed apprezzare gli sforzi che facciamo, tutti, perché le ragazzine possano coltivare la loro passione.

Ah sì, per finire, nessuna di loro sarà mai Carla Fracci o Svetlana Zakharova, probabilmente nemmeno una ballerina di fila di qualunque corpo di ballo, perché oltre alla passione ci vuole anche il talento, che probabilmente non hanno e non avranno mai. Però hanno la possibilità di coltivare la loro passione, cosa che, se fatta con l’umiltà del riconoscimento del proprio livello, appagherà il loro io per tutta la vita. È questo il regalo più grande che ci viene dai nostri sacrifici.

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